DCA, la parola ai genitori

Testimonianza di Paolo Marconi

libro-lieto-fine-“Dopotutto non ero un bambino, ma un uomo che sentiva il caos dell’infanzia farsi spazio nella sua mente. Man mano che la compassione si espandeva, Patrick si vide sullo stesso piano dei suoi presunti persecutori, e vide i suoi genitori, che apparentemente erano stati la causa della sua sofferenza, come due bambini infelici, anche loro con dei genitori che apparentemente erano stati la causa delle loro sofferenze: nessuno andava biasimato, tutti avevano bisogno d’aiuto, e quelli che sembravano da biasimare più di chiunque altro andavano aiutati con maggiore impegno”. (Edward St Aubyn “Lieto fine” pag. 205 – Neri Pozza).
Avevo già letto lo splendido romanzo di St Aubyn – che, va detto, non ha niente a che fare con i disturbi del comportamento alimentare dei giovani – quando, cercando qualcosa, trovai nel cassetto del mio comodino, depositati lì da non so quanto tempo, due post-it colorati (uno rosa e uno verdino) con su scritte a stampatello le seguenti frasi lapidarie: “Tu sei la causa di tutti i miei mali”. “Ti odio”. Questo, almeno, l’ordine in cui le lessi. Ma avrebbero potuto essere state scritte anche nell’ordine inverso. Il senso non cambia granché, mi pare. Tu sei la causa dei miei mali delle mie sofferenze delle mie angosce, e dunque ti odio. Ti odio perché sei la causa … Non c’era bisogno di firma. Lo sapeva bene l’autrice, mia figlia minore. Lo sapevo bene io, il destinatario. Non dovevano essere recentissimi, quei due messaggi (in realtà un messaggio unico, anche se scritto in due momenti diversi), a giudicare dall’inchiostro abbastanza sbiadito e dalle condizioni dei supporti cartacei colorati. E non escludo neppure che potesse esserci stato anche un ripensamento momentaneo, perché i foglietti mostravano i segni di un parziale accartocciamento. Com’era possibile che non mi fossero saltati all’occhio prima di allora? Da quanto tempo non aprivo il cassetto, nel quale tra le altre cose conservo il ricordino di mia madre e i pochi ori personali, compresa la fede nuziale che, come del resto ha fatto mia moglie con la sua, non ho mai più messo al dito dopo il giorno del matrimonio?

Era forse una condanna?

Non mi fece affatto bene, leggere il contenuto stringato di quei due fogliettini. Indeciso su che cosa farne, alla fine optai per riporli in un altro cassetto, nella mia scrivania, dove conservo documenti e ricevute di vario genere. Ciò che avevo trovato altro non era se non la condanna senza appello per fatti lontani, che inconsciamente forse avevo supposto essere caduti in prescrizione. Alla prima occasione in cui ci incontrammo, misi mia figlia al corrente dell’inatteso ritrovamento. Senza aggiungere commenti. “Che c’entra adesso? È passato tanto tempo …”, la sua considerazione. Non replicai. Però qualche giorno dopo andai a ripescare i due post-it e li feci a pezzettini, prima di gettarli nella spazzatura. “Quei due foglietti … hai presente? … li ho stracciati e buttati via …”. E mia figlia, come se si fosse trattato della cosa più giusta e naturale: “Ah, sì …”.
Discorso chiuso, dunque, con una sorta di assoluzione (autoassoluzione?) implicita in ultimo grado, quando le luci dei riflettori sulla vicenda si erano già spente da un pezzo? No, certo. Le ferite rimangono, da una parte e dall’altra. Forse sanguinano un po’ meno, anzi decisamente meno, oggi. Non so se mia figlia si sia posta, consapevolmente o no, nella prospettiva di Patrick, il protagonista del romanzo di St Aubyn. Per quanto mi riguarda, credo che la catarsi, la dolorosa catarsi di vicende come quelle legate all’esplodere dei disturbi del comportamento alimentare nei giovani e giovanissimi debba maturare all’interno della famiglia vista nel suo insieme. E che la compassione – nel senso etimologico di comunanza di dolore – sia il punto di partenza verso un possibile ‘lieto fine’ di serenità ed equilibrio faticosamente riconquistati.

La famiglia deve diventare un alleato importante..

Conforta, in questo senso, l’orientamento che sempre più sembrano voler seguire i percorsi terapeutici. “La famiglia – si ripete da più parti – piuttosto che l’imputato da allontanare, può e deve diventare un alleato importante, nel percorso di cura, dal momento che quello che accade dentro la scena familiare quando la patologia si manifesta, scardinando equilibri e determinando fortissime tensioni, può fare la differenza rispetto al trattamento e alla prognosi del Dca”. Ed è questo l’approccio che anche nella nostra regione si va facendo strada. È rivolta in particolare ai genitori l’iniziativa in programma nell’ultimo fine settimana di novembre (sabato 29 e domenica 30) a Villa Buffarini di Montemarciano, promossa dall’associazione onlus FANPIA e dall’associazione di promozione sociale Centro Heta di Ancona. Due giornate intense, non prive di momenti di svago, da vivere a stretto contatto: genitori, esperti, terapeuti per provare a tracciare percorsi che, partendo proprio dall’esperienza genitoriale, possano aiutare ad andare, tutti insieme, genitori e figli … Oltre la sofferenza.

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