Eat me

Contributo di Paolo Marconi

EatMe_ImmagineE vorrebbero vivere felici e contenti. Non è detto che ci riescano (forse non è neppure auspicabile, almeno nella dimensione che suggeriscono le favole). Però ci stanno provando. E non hanno vergogna a mostrarsi così come sono ora, in un tempo sospeso, con i loro volti e i loro corpi che testimoniano storie di sofferenza; con le loro parole che raccontano la consapevolezza e insieme l’incertezza, la paura e la speranza. Alza il velo con delicatezza su questo scenario, il suggestivo e toccante documentario di Ruben Lagattolla e Filippo Biagianti, prodotto dal Centro Heta e dalla Fanpia Onlus, sul mondo, ancora troppo poco conosciuto (al di là di tanti luoghi comuni e pregiudizi) dei disturbi del comportamento alimentare, in particolare l’anoressia.
Tempo fa, avevamo apprezzato il video del gruppo musicale Subsonica, che hanno dedicato un loro pezzo proprio ai Dca. Lì, il taglio era completamente diverso, più aggressivo, quasi sfrontato, come a voler colpire con uno schiaffo un’opinione pubblica ormai assuefatta a tutto. Qui, invece, prevalgono i toni sommessi, a volte appena sussurrati, i dolci sorrisi velati di tristezza, delle ragazze e dei loro familiari, che hanno voluto ammettere lo spettatore fin dentro l’intimità delle loro case, dove si consuma il dramma. Scene di vita in interni che verrebbe voglia di definire borghesi, se il termine borghesia avesse ancora un senso. Primi piani frontali o di profilo, senza nulla nascondere, ma anche senza nulla voler esibire. E senza giudicare, da parte di chi sta dietro la cinepresa. Una testimonianza, appunto, per aiutare, anzitutto se stessi e poi gli altri, a comprendere.
Genitori e figlie provano a riannodare i fili di un discorso che rimanda ad altro, a tutt’altro, in un ambiente di cucina o di soggiorno dove anche il più piccolo rumore di stoviglie o lo sfrigolio delle pietanze in cottura sui fornelli possono alterare un equilibrio quanto mai instabile.
E poi l’ambiente ospedaliero (il Salesi di Ancona) dove si è consumato il momento più critico della malattia, e quello del Centro “Oltre a…. riveder le stelle”, da dove è ripartito il cammino faticoso della speranza.
Ma la scena senz’altro più struggente del documentario è quella in cui, mentre scorrono immagini di luci notturne attraverso il finestrino di un treno in corsa, la voce dolce di una delle ragazze sussurra che, in fondo al suo tormentoso viaggio, c’è la ricerca della felicità. Il nostro auspicio è che il documentario di Lagattolla e Biagianti sia proiettato, per cominciare, in tutte le scuole della regione.
I due autori hanno inoltre manifestato l’intenzione di proseguire il lavoro sulla strada appena intrapresa. Servono finanziamenti per farlo. Un suggerimento: invece di battere la solita, a volte umiliante e infruttuosa, strada di bussare alla porta di enti e istituzioni, perché non lanciare una campagna di crowdfunding?

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2 risposte a Eat me

  1. ruben films ha detto:

    Grazie, il vostro apprezzamento e la decisione (sofferta, lo so) di partecipare, son state la cosa più importante per noi.
    Al crowdfunding ci stiamo lavorando. Questo, almeno per ora, a dimostrare lo scollamento che c’è tra cittadini e chi millanta di rappresentarli. A presto!

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  2. ruben films ha detto:

    Grazie mille Paolo, la vostra decisione di partecipare ha significato molto per noi. So che non è stata una decisione facile, ma senza questo atto di coraggio per noi non sarebbe possibile raccontare questa storia. Ora dobbiamo continuare a lavorare! Il crowdfunding partirà presto 🙂

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